Nell’antichità il toro era spesso identificato come un dio. Nell’iconografia pittorica talvolta è visto come simbolo di forza invincibile e di altruismo. Associato anche ai culti agricoli, simboleggia la virilità maschile e la fecondazione.
Presso le antiche civiltà il toro era adorato e trattato con riverenza, ma era anche legato al rito del sacrificio per eccellenza. Era un animale tanto apprezzato da essere divinizzato e ucciso per compiacere gli dèi che, soddisfatti per il sacrificio compiuto dagli uomini, concedevano loro prosperità. Spargere il sangue di questo animale era un atto sacro che avrebbe portato rinascita e salvezza.
In questo caso l’animale, simbolo di forza e fertilità, rappresenta Zeus in una delle sue tante metamorfosi messe in atto per sedurre e possedere divinità, ninfe e giovani fanciulle. Ovidio (Sulmona, 43 a.C. – Tomi, 17 d.C.) narra nelle Metamorfosi che Europa, figlia di Agenore, re di Tiro, fu ingannata dalla mitezza di un toro bianco comparso sulla spiaggia dove lei si trovava con delle compagne, gli pose una ghirlanda in testa e montò sull’animale. A quel punto il toro, in realtà Zeus, condusse la giovane al di là del mare sull’isola di Creta e, ripreso il suo aspetto originario, si unì a lei.
Particolare
tratto da
Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, Giove ed Europa, 1541 c.
Bibliografia
J. Hall, voci Toro e Ratto di Europa, in Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 1983, p.348, 397;
L. Impelluso, voce Toro, in La natura e i suoi simboli. Piante, fiori e animali, Milano 2003, pp. 253-54.
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