Il teschio ha prevalentemente il significato di “Memento mori”, dal latino “ricorda che devi morire”. Come tale appare nelle “Vanitas”, un tipo di natura morta molto diffuso nel Seicento che alludeva alla caducità della vita umana, richiamando la frase biblica “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, ovvero “vanità delle vanità, tutto è vanità”.
Il “Memento mori” è un antico precetto morale che nelle varie epoche si è materializzato attraverso la rappresentazione artistica. In età romana veniva usato per attenuare la superbia dei generali vittoriosi.
Con il Cristianesimo assume invece una sfumatura differente da quella che aveva in origine, anche se mantiene la funzione di monito sulla brevità della vita terrena, aggiunge il tema dell’inutilità di essa, poiché la vita vera del cristiano è quella dopo la morte. La morte, quindi, non è più la fine ma l’inizio della vera vita.
Le “Vanitas” potevano essere dipinti autonomi o apparire all’interno di composizioni maggiori, come nel caso di questo ritratto di Alfonso III d’Este, che aveva rinunciato al titolo di duca per farsi frate cappuccino. In questo caso il teschio, affiancato da una clessidra, simbolo dell’ineluttabile scorrere del tempo, è simbolo della scelta estrema di rinuncia ai beni terreni da parte di chi per diritto di nascita aveva potere e ricchezza. Come si vede, l’ex duca calpesta scettro e corona mentre, abbandonati in un angolo, giacciono strumenti musicali, libri e armi, attributi di una vita principesca passata.
Un significato simile assume il teschio che si vede a destra del dipinto di Giacomo Cavedone (1620-1630), raffigurante l’anziano re biblico Davide al termine della sua esistenza. Il simbolo di morte appare infatti al di sopra della corona e della cetra.
Una vera e propria “Vanitas” è lo stupendo intaglio realizzato da Grinling Gibbons in memoria di re Carlo II Stuart d’Inghilterra (1685 c.), morto improvvisamente a Londra il 6 febbraio 1685 a causa di un ictus che lo colpì quattro giorni prima di compiere 54 anni. Al centro dell’opera troviamo un teschio e una corona reale appoggiati sopra a spartiti musicali e strumenti a fiato, mentre da una penna d’oca pende un grosso medaglione con l’autoritratto e la firma dell’artista.
Due teschi appaiono anche nei riquadri alla base dei pilastrini laterali del Polittico dell’ospedale della morte (1462-1466) di Bartolomeo e Angelo degli Erri. In questo caso essi richiamano la destinazione originaria dell’opera, proveniente dall’Oratorio della Confraternita di San Giovanni Battista della Buona Morte, dedita ad assistere i condannati alla pena capitale.

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