In primo piano nel dipinto, proprio sotto la figura di Cristo portacroce, compare una melanzana. Si tratta di una pianta raramente raffigurata in pittura. Di antichissima origine asiatica, forse dell’India, la melanzana era conosciuta dagli Arabi e da essi fu diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo.
Veniva considerata “velenosa” e le erano attribuiti poteri misteriosi a causa della solanina, sostanza tossica presente in minima parte in tutte le solanacee, di cui non si conosceva l’esistenza al tempo.
Il suo nome proviene dall’arabo bāḏinjān e in Italia, accanto al nome petronciano, si conia melanzana, dal latino mela insana, frutto non sano. Durante il Medioevo veniva consumata soprattutto dagli Arabi e dagli Ebrei convertiti. L’agronomo Gabriel Alonso de Herrera (Talavera de la Reina, 1470 – Toledo, 1539) nel 1513 arrivò ad affermare che «gli Arabi la portarono in Europa per uccidere con essa i Cristiani». Questo spiega la sua presenza in un dipinto raffigurante Cristo sofferente.
Anche il suo colore viola scuro era associato a penitenza, conversione ed espiazione. Questo significato è in parte legato al fatto che i Vangeli raccontano che i soldati di Ponzio Pilato vestirono Gesù con un mantello di porpora dopo che fu fatto flagellare. Di conseguenza, per i cristiani il viola evoca il dolore e la sofferenza che precedono la morte in croce di Gesù.
Fra le proprietà attribuite alla melanzana vi era anche quella di avere effetti afrodisiaci, come riportano il naturalista Pietro Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) e come si legge nella commedia Clizia di Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527).

U

Particolare
tratto da

Bernardo Parentino o Parenzano, Cristo portacroce tra i Santi Girolamo e Agostino, 1492-1496

LA STORIA SI NASCONDE NEI DETTAGLI

UN PROGETTO DIDATTICO DELLE GALLERIE ESTENSI