L’arco è un propulsore per lanciare frecce, formato da un bastone di legno o altro materiale, rastremato alle estremità e messo in trazione da una corda.
L’arco è probabilmente, insieme alla lancia, una delle armi più antiche utilizzate dall’uomo; prima per la caccia e poi per la guerra. Nel XII e XIII secolo le milizie comunali italiane erano composte da un gran numero arcieri equipaggiati con archi realizzati in forme caratterizzate da flettenti con sezioni e curvature diverse, ed essenze come ad esempio il tasso, l’olmo, il maggio ciondolo. Le contaminazioni con l’oriente influenzarono la diffusione di archi compositi, realizzati con legno, corno e tendine e caratterizzati da dimensioni più contenute, da una doppia curvatura dei flettenti e da una potenza ragguardevole. Gli archi raffigurati appartengono a questa tipologia di armi da tiro che si diffusero in tutta la penisola anche grazie ai proficui rapporti della Serenissima con tutto il bacino del Mediterraneo.
Nonostante l’arco sia stato sorpassato dalla grande diffusione delle balestre gli esemplari definiti a “doppia curva” e realizzati mediante l’utilizzo di materiali compositi rimasero in uso, soprattutto per la caccia ed il tiro a segno, sino al XVII secolo.
Gli archi raffigurati nel dipinto sono impugnati da Artemide e Apollo, figli di Zeus e Latona. Entrambe le divinità sono caratterizzate dall’attributo iconografico dell’arco e delle frecce. Proprio per mettere in luce la natura divina dei due gemelli e di conseguenza la loro virtù, gli archi sono interamente realizzati in oro. Le frecce divine scagliate dalle due divinità vendicatrici, anch’esse dorate, non si fermano e colpiscono a morte i Niobidi.
Particolare
tratto da
Jacopo Robusti detto Tintoretto, Strage dei figli di Niobe, 1541- 1542
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