Apprezzare veramente un’opera significa coglierne l’essenza per intercettare quel filo invisibile che collega, attraverso emozioni e rappresentazioni, l’opera d’arte con l’animo umano.
Ogni figura rappresentata nell’arte racconta una storia, trasmette un insegnamento, una morale o riflette una fase della vita dell’artista o del soggetto rappresentato. Saper guardare all’anima delle opere significa penetrarne la superficie visiva, per raggiungere e scoprire la loro essenza profonda. Tale “essenza”, nel corso della storia del pensiero, ha spesso assunto il nome greco di psiche, “anima”, “pensiero”, “subconscio”, “indole”…
Proprio in occasione del festivalfilosofia 2024, con lo scopo di aiutare il pubblico a scorgere l’essenza dell’opera d’arte, le Gallerie Estensi hanno realizzato undici cartoline che raccontano di alcune delle opere presenti nella collezione della casa d’Este. Nelle brevi descrizioni che accompagnano l’immagine, è proposto un piccolo affondo psicologico, che punta a cogliere “la psiche” dell’opera d’arte.
Se è vero che un simile approfondimento è realizzabile per qualsiasi capolavoro, le opere scelte sembrano proprio far trasparire uno spaccato del vissuto dei protagonisti, della loro coscienza, capace di raggiungere l’animo umano.
Scopri le opere da ammirare tra Modena e Sassuolo:
Testa di vecchio – Guido Mazzoni
Ogni ruga sul volto del “vecchio”, scolpito da Guido Mazzoni, è una chiara testimonianza del realismo che caratterizza il suo lavoro. Seguendo la lezione degli scultori padani del Quattrocento, Mazzoni sembra voler dare “vita” al soggetto attraverso la sua arte, come suggerisce anche la policromia attuale, seppur non originale, che riprende quella creata dall’artista.
La scultura, probabilmente parte della figura di Nicodemo da un Compianto sul corpo di Cristo, è così realistica da rendere il “vecchio” profondamente umano. Rappresenta un anziano immerso in una riflessione sulla vita vissuta e sul destino che lo attende; il suo volto malinconico, quasi doloroso, diventa simbolo della fragilità umana.
Guido Mazzoni
1480-1485 c.a., terracotta policroma
Modena, Galleria Estense – Sala 7
Armida lega Rinaldo con catene di fiori incantati – Jean Boulanger
Rapita dall’amore, rapisce per amore: accecata dalla bellezza del giovane guerriero Rinaldo e vittima di una potente infatuazione, Armida sceglie di usare le sue conoscenze magiche per ottenere il suo amore.
Come racconta Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata, la maga è tormentata da questo desiderio: il suo raziocinio vacilla e, invece di restare fedele al suo ruolo di antagonista, si innamora di uno dei cavalieri cristiani, Rinaldo, mentre dovrebbe impedire la liberazione di Gerusalemme.
Nell’opera di Jean Boulanger, Armida è sola sullo sperone in cui è assopito l’amato Rinaldo. Seguendo solo i suoi impulsi, gli lega i polsi con fiori incantati per trascinarlo in un paradiso di amore illusorio, lontano dagli impegni della crociata. Dietro di loro, nel cielo aperto, li aspetta un cocchio trainato da cavalli, pronto a portarli nell’unico regno dove il loro amore travolgente e irrazionale potrà realizzarsi: quello delle illusioni.
Armida lega Rinaldo con catene di fiori incantati
Jean Boulanger
1643-1644, pittura a fresco
Sassuolo, Palazzo Ducale – Camera dell’Amore
L’Amore trionfa sul globo terracqueo sorretto da Atlante ed Ercole – Jean Boulanger
“Omnia vincit amor, et nos cedamus amori”
(Virgilio, Bucoliche, Ecloga X)
Così scrisse Virgilio nelle Bucoliche e così Jean Boulanger dipinse nel soffitto del Palazzo Ducale di Sassuolo.
Amore, qui rappresentato come un piccolo alato, siede sul globo, sorretto a fatica dai possenti Atlante ed Ercole, simboli di forza fisica e resilienza nella mitologia classica. Si tratta di un’allegoria: l’amore vince su ogni cosa del mondo, e noi, forti e resistenti quanto più possiamo, cederemo sempre e comunque ad esso. É il potere delle emozioni, dell’irrazionalità dei sentimenti e degli impulsi, e di come questi plasmano l’immagine del sé.
L’Amore trionfa sul globo terracqueo sorretto da Atlante ed Ercole
Jean Boulanger
1644 ca., pittura a fresco
Sassuolo, Palazzo Ducale – Camera dell’Amore
Ritratto di buffone di corte – Dosso Dossi
Il ritratto mostra il debito di Dosso Dossi per la pittura veneziana del Cinquecento, in particolare quella di Giorgione.
La risata forzata del buffone di corte sembra cogliere la tensione emotiva di chi per ruolo deve esprimere umorismo e follia, senza scoprire il suo umore reale e le sue fragilità. La prossimità con l’animale tra le sue braccia sottolinea una mancanza di raziocinio.
Il ritratto sembra cogliere l’uomo dietro al giullare, esplorando la complessità interiore di un individuo costretto a indossare la maschera della follia.
Dosso Dossi
1508-1510 ca., pittura ad olio
Modena, Galleria Estense – Sala 13
Ritratto di Alfonso I d’Este – Battista Dossi
Potenza, autorevolezza, coraggio e scaltrezza sono qualità che Alfonso I d’Este si attribuisce e che vuole siano rappresentate nei propri ritratti.
Battista Dossi, artista di corte, lo ritrae perciò in una posizione di comando, mentre alle sue spalle si svolge la battaglia di Polesella (1509), una delle sue maggiori vittorie.
Sul petto esibisce la collana dell’ordine cavalleresco di San Michele e la croce bianca del Gonfaloniere della Chiesa. Regge con una mano una mazza ferrata, mentre appoggia l’altra su uno dei suoi celebri cannoni. Si tratta di una consapevole e voluta rappresentazione di potere, emblematica se si pensa a quanto l’immagine pubblica possa consolidare potere e autorità.
Battista Dossi
1534-1536 ca., pittura ad olio
Modena, Galleria Estense – Sala 13
Busto di Ercole II d’Este – Prospero Sogari Spani detto Clemente
Come oggi accade con i social network, dove ciascuno di noi restituisce per immagini una proiezione di sé che non corrisponde necessariamente al reale, così anche nel Cinquecento le immagini pubbliche avevano lo scopo di veicolare valori desiderati.
Il Busto di Ercole II d’Este è certamente uno dei più belli realizzati nel Cinquecento: si basa sui modelli romani di età imperiale ed è ricco di allegorie e connotazioni politiche. Nella parte bassa della corazza, infatti, sono rappresentate le figure di Atlante disteso e di Ercole in atto di sorreggere la volta celeste, che alludono alle responsabilità di governo del duca. Inoltre, il significato allegorico dell’opera è completato dal bassorilievo al centro della base, raffigurante la Pazienza, emblema personale di Ercole II.
Lo scopo della rappresentazione, dunque, non è quindi catturare non tanto l’aspetto fisico di Ercole II, ma l’immagine che di lui si voleva proiettare nel mondo. L’arte diventa uno strumento per manipolare la percezione, consolidando il potere e l’autorità del duca.
Prospero Sogari Spani detto Clemente
1554, scultura in marmo
Modena, Galleria Estense – Sala 13
Busto di Vibia Sabina come Cerere – Ludovico Lombardo
Vibia Sabina, moglie dell’imperatore romano Adriano, è rappresentata nelle vesti di Cerere, dea della fertilità, dell’abbondanza e dei raccolti. Lodovico Lombardo, figlio dello scultore veneziano Antonio Lombardo, la ritrae in questo busto in bronzo, con sguardo solenne e aria austera.
Questa scelta iconografica risponde chiaramente all’esigenza di rappresentare una donna di rango e potere. Sebbene le donne dell’epoca avessero responsabilità politiche limitate, il loro ruolo sociale, morale e di immagine era comunque significativo. In questo senso, la scelta di raffigurare l’imperatrice consorte come Cerere ne vuole sottolineare l’identità come portatrice di vita e benessere per l’impero.
Al tempo stesso, la scelta da parte dei duchi d’Este di avere nella propria collezione questa scultura, che inizialmente avrebbe dovuto costituire il pendant del busto di Adriano (ora nella National Gallery di Washington) fa riflettere sul ruolo pubblico delle donne nella società. Cerere, come altre donne, è esente da incarichi pubblici ma al contempo caricata di aspettative sociali, tanto da essere elevata a simbolo vivente del benessere dell’Impero.
Busto di Vibia Sabina come Cerere
Ludovico Lombardo
1550-1560 ca., scultura in bronzo
Modena, Galleria Estense – Sala 19
Ritratto di Anna d’Austria – Frans Pourbus II il Giovane
Sono nuovamente le aspettative sociali a caricare l’opera di Frans Pourbus II il Giovane, che ritrae la piccola principessa Anna, primogenita del re di Spagna, poco prima delle sue nozze, all’età di appena quattordici anni.
Unita in matrimonio con il coetaneo delfino di Francia, Luigi XIII, Anna darà alla luce il Re Sole e acquisirà, nei primi anni di vita del figlio, la reggenza del regno.
Nell’opera di Frans Pourbus, il tenero volto di Anna, raggelato in una posa solenne, con un teso accennato sorriso, è incorniciato dagli sfarzi di un abito sontuoso e riccamente ornato. Tale imponenza sembra prefigurare i suoi futuri ruoli di moglie e madre nella casa reale di Francia. Anna si trova bloccata, incastrata dalle aspettative che l’Europa e la società francese riversa su di lei; per un fine politico, le è negata la giovinezza e l’adolescenza, senza possibilità di ritorno.
Frans Pourbus II il Giovane
1622, pittura ad olio
Modena, Galleria Estense – Sala 16
Allegoria della prudenza – Jean Boulanger
Sul soffitto della Camera dell’Innocenza, una figura femminile seduta posa il gomito su un pilastro, mentre un putto sorregge verso di lei uno specchio. Si tratta di una rappresentazione della virtù della Prudenza, che i duchi d’Este scelgono consapevolmente di ritrarre nella Camera dell’Innocenza del Palazzo Ducale di Sassuolo. Le decorazioni del Palazzo riflettono il gusto estetico dei regnanti, ma servono anche a esprimere la loro identità culturale e politica.
Raffigurare la Prudenza mostra le aspirazioni della famiglia d’Este, che voleva essere vista come saggia e lungimirante, capace di governare con saggezza. Lo specchio tenuto dal putto invita alla riflessione su se stessi, poiché essere prudenti significa essere accorti e riflessivi. Allo stesso tempo, lo specchio riflette anche il potere e la coscienza politica dell’epoca, in cui l’immagine del sé si costruiva attraverso l’arte.
Allegoria della Prudenza
Jean Boulanger
1640-1642, pittura a tempera
Sassuolo, Palazzo Ducale – Camera dell’Innocenza
Ercole e Onfale si scambiano vestiti e attributi – Jean Boulanger
Quante volte ci capita di osservare con invidia trascurando noi stessi e dimenticandoci che la percezione dell’altro è sempre inevitabilmente mediata e distorta?
La pittura di Jean Boulanger, collocata nella Camera dell’Amore del Palazzo Ducale di Sassuolo, invita a riflettere sull’identità, sul ruolo sociale, sulla percezione di sé e degli altri.
Nell’opera sono ritratti Ercole e la regina Onfale intenti a scambiarsi vestiti e attributi: come si racconta nel ciclo di Ercole, l’eroe, venduto come schiavo alla regina della Lidia, è chiamato, durante il suo servizio, ad uno scambio di identità. Ercole, l’eroe famoso per la sua forza sovrumana, indossa vesti femminili e si dedica a compiti domestici come filare la lana, mentre Onfale assume le sue caratteristiche più virili, vestendo la pelle di leone e impugnando la clava, simboli iconici dell’eroe.
Questa dinamica allude, in un certo senso, ad un atto di amore e sottomissione: Onfale e Ercole esplorano il potere e la vulnerabilità reciproca, e lo scambio diviene manifestazione della passione, in cui l’amore può portare l’amante a sottomettersi e trasformarsi, rinunciando alla propria identità.
Lo scambio di vestiti e attributi tra Ercole e Onfale è come un gioco di specchi; un ribaltamento di genere in cui i ruoli e le identità sono riflessi e distorti. Una sorta di anamorfosi sociale, dove le convenzioni vengono distorte e presentate sotto una luce completamente diversa.
Ercole e Onfale si scambiano vestiti e attributi
Jean Boulanger
1640-1642
Sassuolo, Palazzo Ducale – Camera dell’Amore
Dalila taglia i capelli a Sansone addormentato – Jean Boulanger
Vendetta, tradimento, tensione… sono alcune delle emozioni che pervadono la scena raffigurata nella Camera dell’Amore del Palazzo Ducale di Sassuolo.
Il dipinto mostra Dalila e Sansone, protagonisti di un racconto biblico: Dalila è rappresentata mentre taglia i capelli di Sansone, che, per un voto sacro, non poteva né bere alcolici, né toccare cadaveri, né tagliarsi i capelli, fonte della sua forza. Dalila, corrotta dai Filistei, sfrutta il segreto confidatole da Sansone e, approfittando del suo sonno, gli taglia alcune ciocche, privandolo della sua forza.
La scena è densa di tensione emotiva: Dalila non solo taglia i capelli di Sansone, ma lo priva anche della sua reputazione e del suo potere sociale. I capelli, simbolo della forza di Sansone, sono parte integrante della sua identità, e nel momento in cui vengono tagliati, egli perde entrambi.
Così come Narciso, Sansone è definito da un’immagine esteriore che, una volta distrutta, lo porta alla rovina.
Dalila taglia i capelli a Sansone addormentato
Jean Boulanger
Sassuolo, Palazzo Ducale – Camera dell’Amore
Grafiche a cura di Un Altro Studio
Testi a cura di BAM! Strategie Culturali – Anna Albieri, Chiara Gramaccioni
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