Circoncisione di Gesù

Luca Longhi

(Ravenna, 1507-1580)

 

Il pittore ravennate, dipinse la tavola in oggetto per la chiesa di San Benedetto di Ferraranel 1561, come attesta la scritta apposta in basso a destra, sul vaso bronzeo (LUCHA DE LONGHI RAVENNAS PINGEBAT M.D.L.X.I). La pala d’altare troneggiava, sull’altare del «Santissimo Sacramento», incastonata in una cornice nei cui scomparti laterali comparivano episodi della vita di Gesù dipinti da Nicolò Rosselli (opere quest’ultime perse nel bombardamento che, nel 1944, danneggiò gravemente la chiesa). Il soggetto della tavola è la Circoncisione di Gesù. L’episodio è narrato nel Vangelo secondo Luca (2, 21-23), tradizione ebraica del «brit milah» (in ebraico: מִילָה ‎ בְּרִית, letteralmente: patto del taglio). Maria e Giuseppe, quando «venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore […]». La scena si svolge, dunque, nel tempio di Salomone, ricostruito dal pittore con candida ingenuità: lo sfondo della rappresentazione del rito è rappresentato da una sorta di abside semicircolare, sulla quale si imposta una calotta semisferica (catino), che potrebbe prestarsi a rappresentare una generica parrocchiale cattolica. Unico riferimento al tempio salomonico sono le colonne tortili.

Per descrivere il suo tempio, Longhi sembra cogliere alcune impostazioni offerte dai frontespizi di opere a stampa ebraiche, ma il riferimento più calzante corre verso i riferimenti alla «Colonna Santa» della basilica vaticana che, nei suoi ornamenti vitinei, nei tralci e nelle foglie di vite, diventa opportunità per una citazione in chiave cattolica e eucaristica della «vera vite», alludendo così al ruolo salvifico di Gesù.

Lungo l’asse verticale della composizione si colloca il piccolo Gesù tra le braccia della madre. Alla sua sinistra un Mohel (rappresentato come un gran sacerdote con tanto di tiara e con un affilato bisturi in mano) attende a uno dei rituali più sacri dell’Ebraismo: la circoncisione, infatti, è ciò che lega per sempre un bambino ebreo al Creatore, ciò che “distingue” l’ebreo da quando Avrahàm (Abramo) circoncise se stesso all’età di novantanove anni. Secondo la Torah, dunque, un ebreo deve circoncidere suo figlio nell’ottavo giorno dalla nascita: senza la circoncisione non si diventa ebrei e non si appartiene al popolo di Israele.

Ecco perché per un legittimo riferimento biblico il pittore dipinge il pannello al centro dell’altare con la scena del sacrificio di Isacco. L’identità religiosa di Gesù avviene, dunque, nel segno dell’”antica alleanza”, come narrano sia il Vangelo, sia il dipinto di Luca Longhi. Nell’istante fissato dall’artista, nella cerimonia descritta a taglio già avvenuto, il pittore fissa comunque un intero universo di riferimenti. Il piccolo pene del bambino versa le prime gocce di sangue lungo il cammino terreno appena iniziato (anticipazione del destino legato alla passione e alla crocifissione), mentre il Mohel stringe tra le mani il prepuzio appena asportato, che il pittore si compiace di mostrare. In linea di massima, ancora oggi, l’onore di sostenere il circonciso viene solitamente riservato ai nonni, agli ospiti illustri o al rabbino, qui invece è la Madonna a sostenere il figlio, mentre, a sinistra del riguardante, per esigenze di culto cattoliche (e per la consuetudine dei modelli iconografici del tempo) attorniano la Vergine una elegante santa Caterina d’Alessandria inginocchiata, san Gioacchino e sant’Anna (i nonni), santa Margherita con tanto di drago e, probabilmente, una ringiovanita profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser (figura presente alla cerimonia secondo il Vangelo).  Il maturo san Giuseppe, a destra, appena dietro al Mohel, sta per porgere una tazza di vino dolce al piccolo circonciso. Non sembra, infatti, accertata alcuna pratica analgesica per l’intervento di circoncisione e il vin dolce, lo stesso che sarà usato per la successiva festa (seudat mitvah), avrebbe l’effetto di tranquillizzare il bambino (nel nostro caso assolutamente serafico). Un giovane, appena dietro Giuseppe, tiene in mano gli opportuni ceri.

E con la luce dei ceri si può concludere questa “narrazione” di un’opera dal tema importante, ma non certo semplice da definire e comprendere nei dettagli. La sacralità della Circoncisione viene descritta dal Longhi con tale attenzione ai particolari da risultare addirittura, per certi versi, cruda: tuttavia è forse proprio questo l’intento preciso dell’artista e dei committenti, quello di indurre chi osserva a leggere la rappresentazione attraverso i riferimenti biblici, per meglio comprendere nella continuità della tradizione biblica, l’importanza sia della sacralità del rito, sia l’osservanza religiosa dei suoi protagonisti.

Gianfranco Ferlisi