Henri de Triqueti – Henri Joseph François, Barone di Triqueti (Conflans-sur-Loing, 24 ottobre 1803 – Parigi, 11 maggio 1874), Maddalena penitente, 1840, marmo, cm 112×63,5×74 (inv. R.C.G.E. n. 4249)

La Maddalena penitente di Henri de Triqueti

 

La Maddalena penitente di Henri de Triqueti si ritrova per una davvero favorevole congiuntura, al centro del nuovo percorso espositivo aperto al piano terra del Palazzo ducale di Sassuolo. L’autore aveva dispiegato, infatti, nella sua opera, tutta la maestria possibile per associare, in questa figura femminile, bellezza, dolenza e contrizione: la stessa maestria che, a Sassuolo, già tra Settecento e Ottocento, animava artisti e imprenditori in una tensione estetica che determinerà la nascita del polo ceramico. Questa scultura ottocentesca si relaziona dunque perfettamente con una delle più importanti raccolte private di ceramica sassolese (già in Villa Vigarani Guastalla), acquisita da Ceramiche Marca Corona e adesso in deposito nel Palazzo Ducale.

 

È per la sua inequivocabile peculiarità che, nel contesto del riallestimento, risulta più facile riscoprire opera e autore della Maddalena, scolpita dal barone Henri Joseph François de Triqueti, uno dei personaggi di spicco del mondo dell’arte francese, prima durante la monarchia borghese di Luigi Filippo e poi dell’impero di Napoleone III.

 

De Triqueti fu uno scultore dai vasti interessi culturali: conosceva i marmi di Lord Elgin, collezionava Géricault e catalogava Bonington. In Francia ricevette diverse ambite commissioni: le porte di bronzo della Madeleine a Parigi (completate nel 1837), l’effigie marmorea del duc d’Orleans (1843), il cenotafio marmoreo del Principe Alberto nella Cappella di Wolsey a Windsor (1864).

 

Datata 1840 e firmata, la Maddalena  di de Triqueti fu certamente ispirata dalla scultura dello stesso soggetto di Antonio Canova che l’artista francese potrebbe aver visto a Parigi dove arrivò nel 1808. La santa stringe al petto la corona di spine di Gesù e appare caratterizzata da una femminilità ritrosa e pudica, avvolta solo nei suoi lunghi capelli, elemento cardine della sua iconografia, coerente con la storia del suo rigoroso e rigido isolamento eremitico riportato dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (sec. XIII).

 

Il de Triqueti ha certamente guardato ad una molteplicità di modelli per comporre la sua opera, a partire dall’esempio classico greco dell’Afrodite accovacciata che, mentre si volta verso l’osservatore, cerca di coprire, con le mani, il petto e il pube. La tipologia iconografica è stata però abilmente “cristianizzata”: lo sguardo estatico della santa azzera la pagana sensualità, cosicché il nostro piacere resta circoscritto all’ammirazione del modellato assai delicato, che mette in risalto le sue forme morbide e gentili.

 

De Triqueti sviluppa nella sua ignuda Maddalena, ricoperta solamente da una cascata di capelli, un’estrema attenzione a una figura in movimento, che si emancipa, nel linguaggio plastico, dalle regole apollinee del Neoclassicismo.  Ne emerge un personaggio aggiornato da un traboccante lirismo e da una passionalità ascetica rarefatta ma esplicita, L’artista, dunque, cerca di parlare all’animo del riguardante, di esprimere la propria cognizione del dolore, della colpa e del pentimento che redime, in una trasposizione nel marmo delle passioni e dei sentimenti tramite la forzatura dei tratti espressivi e gestuali; non si propone tanto di stupire o di dare troppi segnali innovativi ma indica piuttosto un’avvenuta trasformazione naturalistica sul ceppo neoclassico: siamo in pieno Romanticismo.

 

La scultura arrivò a Sassuolo con le collezioni d’arte di Amable-Charles d’Espagnac successore di Frédéric-Guillame d’Amarzit de Sahuguet d’Espagnac che aveva comprato al residenza estense nel 1796.  La provenienza della statua è stata svelata da un  documento archivistico rinvenuto dal conte Henri de Cadolle, discendente dei d’Espagnac, ri-emerso nel 2005 e portato a conoscenza della critica da parte di Luca Silingardi. Nel 1917 la Maddalena fu donata all’allora Regia Galleria Estense da parte della contessa Catherine De Torcy, vedova di Charles Fournier d’Espagnac. Quest’ultimo, infatti, era stato adottato dallo zio, Charles-Honoré, ultimo dei d’Espagnac, che, nel 1882, aveva ceduto il Palazzo Ducale di Sassuolo alla famiglia Finzi Levi.

 

Gianfranco Ferlisi