Il blog delle meraviglie
a cura di Simone Sirocchi
Un corno!
Chiudere le imposte di una finestra non mi è stato mai così difficile: rientrare in Emilia significa lasciare il panorama, le pietre, i rumori e i profumi che mi hanno accompagnato in queste lunghe e bizzarre giornate. Quante? Esattamente ottanta! Un numero che, pur non essendo scaramantico, nella smorfia napoletana è associato alle buone occasioni (il che fa ben sperare) e al corno degli animali (al “corno” eh, non al “cornuto”! Quello è il “49”, ho controllato!). E direi che niente poteva cascare più a fagiolo, perché proprio di corno volevo scrivere prima di abbassare lo schermo del portatile e prendere la via di casa. Ancora oggi, infatti, si conserva in Galleria Estense un curioso bicchiere, la cui coppa è formata da un corno di rinoceronte. La sostiene un raffinato piede in argento, originariamente dorato, metallo che si ritrova anche nel bordo della coppa, sia all’interno che all’esterno, con motivi decorativi come frutti (pere e grappoli d’uva). L’intaglio del corno, così come la lavorazione della montatura, non permettono di ascriverne con certezza la lavorazione a una precisa manifattura. La sua semplicità, in linea con analoghi esemplari sparpagliati nelle principali collezioni di meraviglie, ne suggerisce però una fabbricazione in Cina, dove questo tipo di oggetti divenne universalmente popolare a partire dal XVI secolo in virtù delle proprietà associate al materiale. Bicchieri come il nostro, infatti, erano spesso impiegati in occasioni rituali e largamente presenti presso i letterati, per lo meno da quando il rinoceronte (e il suo corno) era stato assunto ad animale simbolo di saggezza. In Europa divenne presto un pezzo immancabile e gli si associarono nuove virtù, come la capacità di neutralizzare i veleni e quella afrodisiaca (una proprietà pressoché immancabile). Intagliate prevalentemente in Oriente scaldando il corno per essere poi montate in Europa, queste coppe sono attestate nelle principali wunderkammer italiane d’inizio Cinquecento (come quella dei Farnese a Parma, dei Medici a Firenze o dei Gonzaga a Mantova), ma non paiono attestate negli inventari della “meravigliosa” galleria estense, dove spesse volte gli elenchi sono troppo sintetici. E’ però certo che fu durante il governo del nostro Francesco II che manufatti di questo tipo entrarono nella collezione ducale, come attestano alcuni nuovi documenti. In un considerevole elenco di opere “bizzarre” acquistate per il duca, tra rarissime porcellane cinesi e vasetti in agata e alabastro, compaiono anche «un vaso di Rinoceronte figurato a riglievo con piede d’Argento» dal prezzo di lire 90 e «un bichiero di Corno di rinoceronte con piede d’Argento dorato». Ed è proprio quest’ultimo, pagato 60 lire, che possiamo ragionevolmente identificare con la nostra coppa. Ma, in tema di corno e di pezzi ormai must-have nelle gallerie, un secondo corno era precocemente entrato in quella di Francesco II. Nel 1677, infatti, dagli eredi del mercante tedesco Andrea Stricher fu comprato un corno d’unicorno, per la cifra di 80 doble. Alle tante leggende in circolazione su questo animale (anche chiamato “monoceronte”) aveva contribuito proprio il rinoceronte, con cui fu alcune volte scambiato. Dell’effettiva esistenza dell’unicorno, per quanto dibattuta, si era ancora certi nel Seicento, quando lo si ricordava ancora come validissimo “contraveleni”. Quello che si credeva essere il suo corno, in realtà, era il dente di un curioso cetaceo – il narvalo –, una sorta di zanna tortile che può raggiungere quasi i tre metri di lunghezza. L’esemplare estense, andato perduto, non doveva essere distante da quello ancora presente nelle collezioni del Museo Civico Medievale di Bologna.
Ora “facciamo le corna” e speriamo che la macchina, ferma da oltre due mesi, vada in moto!
Manifattura ignota, Coppa, XVI-XVII sec., corno di rinoceronte, argento, Modena, Galleria Estense, inv. 2462
Manifattura bolognese, Corno d’unicorno, 1660-70, avorio, legno, Bologna, Museo Civico Medievale, inv. 773
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