Il “nuovo” ritratto di Cesare d’Este in Galleria Estense

 

Sante Peranda

Venezia, 1566 – 1638

 

Ritratto di Cesare d’Este

1624-1626

Olio su tela

Cm. 81,5 x 64

Modena, Galleria Estense, inv. 18539

Dalle collezioni di Cesare d’Este nel Castello di Modena (?); acquistato sul mercato antiquario dall’Associazione Amici delle Gallerie Estensi e donato al museo (2024)

Cesare d’Este (Ferrara, 1562 – Modena, 1628) mancava da lunghissimo tempo nelle collezioni estensi giunte ai nostri giorni. Dispersi tutti i suoi ritratti che anticamente dovevano trovarsi nelle residenze del casato, il primo duca di Modena era scivolato in secondo piano, forse anche schiacciato dai clamorosi ritratti del suo più celebre nipote – quel Francesco I d’Este effigiato da Velázquez e poi da Bernini – al punto che anche il suo aspetto fisico era divenuto sfocato e sfuggente. Fino a non molti anni fa poteva essere persino confuso con l’anonimo gentiluomo in armatura che appare in un ritratto della Galleria Estense, inv. 220, attribuito al pittore Cesare Aretusi (Bologna, 1549-1612): una suggestione destinata a cadere nel confronto fra i tratti somatici di questo personaggio fulvo dai vistosi mustacchi, e il cipiglio inconfondibile di Cesare d’Este così come lo vediamo, con capelli e pizzetto nerissimi, nella sua principale effigie sicura, ovvero il suo ritratto a figura intera che oggi si trova nel Palazzo Ducale di Mantova. Questo fu eseguito da Sante Peranda (Venezia, 1566-1638), che visse a lungo a Mirandola come pittore di corte dei Pico e frequentemente lavorò anche come ritrattista ufficiale per gli Este, dati gli stretti rapporti parentali fra le due famiglie: proprio una figlia di Cesare, Laura, aveva infatti sposato il conte Alessandro Pico nel 1608.

Pochi anni fa la scoperta di un nuovo ritratto di Cesare, con tanto di iscrizione esplicativa e una fisionomia sovrapponibile a quella del ritratto di Mantova, ha consentito di rimettere a fuoco una volta per tutte l’immagine del duca. Tale ritratto, emerso sul mercato francese e infine riconosciuto come opera di Frans Pourbus il Giovane (Anversa, 1569-Parigi, 1622), dopo vari passaggi è stato donato nel 2010 dal professor Alfredo Margreth all’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Modena.

Questo, in estrema sintesi, lo scenario fino a pochi mesi orsono, quando il presente e inedito ritratto di Cesare d’Este si è imposto all’attenzione in previsione della sua vendita presso la casa d’aste Pandolfini (Arcade. Dipinti dal XVI al XX secolo, Firenze, 3 ottobre 2024). Si tratta di una versione strettamente dipendente dal prototipo a Mantova, e dunque una delle diverse repliche, documentate, che Sante Peranda e i suoi collaboratori eseguirono nei quasi vent’anni (1608-1627) in cui l’artista veneziano visse in Emilia. Il prototipo infatti giunse a Mantova tre secoli fa proprio da Mirandola, assieme a quel che restava della pinacoteca dei Pico. Nella sua intensa attività mirandolese, Peranda non solo realizzò importanti cicli pittorici (in parte sopravvivono le Storie di Psiche e le Età del mondo) e numerose pale d’altare (per esempio il Martirio di sant’Orsola in San Bartolomeo a Modena), ma si dedicò anche ai ritratti. A quel tipo di ritratti di rappresentanza, di genere “internazionale”, per arredare residenze e propagare immagini di famiglia presso le cancellerie straniere in occasione di successioni, alleanze o matrimoni. Grazie a Peranda, molti Este del suo tempo ci appaiono ancora vivi e presenti, mentre ci osservano, in piedi, frenati solo da un rigido codice di ufficialità: il duca Cesare, sua figlia Laura, il cardinale Alessandro, sua figlia Giulia, il principe Alfonso e sua moglie Isabella di Savoia. A questa serie Sante Peranda attese per molto tempo, lasciando a lungo i dipinti incompiuti e focalizzando il lavoro sui volti dei personaggi. Ne ricavò anche repliche in diversi formati, richieste soprattutto dal duca che di quando in quando richiamava a Modena il pittore.

Ed è proprio in questa serie che si colloca il ritratto affiorato oggi sul mercato. Cesare vi appare avvolto in un abito nero con mantello e ampio colletto bianco. Solo la collana del Toson d’Oro e la cintura danno una breve accensione cromatica alla figura, altrimenti asciutta e severa. Il fondo grigio, un tempo più compatto, è movimentato da pennellate oggi ben visibili per l’assorbimento del colore nella preparazione. Il dipinto è apparso integro e qualitativamente apprezzabile, nonché incastonato in una pregevole cornice dorata di produzione emiliana di inizio Seicento, riconoscibile nell’intaglio a foglie lanceolate ricorrenti e foglie di cavolo che si succedono nelle due fasce principali.

Come possibile innesto nelle collezioni della Galleria Estense di Modena, il ritratto è stato segnalato perciò all’Associazione Amici delle Gallerie Estensi, che con entusiasmo lo ha acquistato e si è fatta carico anche del necessario intervento conservativo, affidato all’esperta restauratrice Beatrice Miserocchi di Bologna. Rimossa la spessa vernice ingiallita che offuscava l’opera, si è confermata così l’ottima integrità della pellicola pittorica originale, nonché della bellissima cornice. Il volto di Cesare d’Este è tornato presente in una veste inedita. Sul modello del ritratto oggi a Mantova, infatti, il nuovo dipinto ce lo presenta in età più avanzata, stimabile fra i sessantadue e i sessantaquattro anni, ovvero negli anni 1624-1626 che sono gli ultimi in cui Peranda è documentato a Modena al lavoro per dei ritratti estensi. Anni in cui Cesare poteva ben dire, ormai, di essersi dimostrato un governante responsabile e capace, malgrado lo stigma del suo ruolo non certo eroico al tempo della devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio (1598), che lo avrebbe perseguitato in larga parte della storiografia antica e moderna. “Con tanta facilità lasciò spingersi fuor di Ferrara, senza né pur vedere la faccia de’ nemici”, scrisse Ludovico Antonio Muratori, consapevole di quanto questo pregiudizio soverchiasse i meriti di Cesare come accorto duca di pace e di giustizia (Antichità estensi, II, 1740, p. 529). Al tempo di questo ritratto, egli era ormai vedovo della moglie Virginia de’ Medici che lo aveva accompagnato per quasi trent’anni, e probabilmente aveva perso anche il fratello cardinale Alessandro, suo fidato consigliere scomparso nel maggio del 1624. Lui morì poco più tardi, alla fine del 1628, e tutto ciò per dire che in questo suo ultimo ritratto sembrano convergere, per suggestione, i riflessi di questi dati storici. La barba ingrigita, il volto segnato da profonde orbite e un incarnato non più florido, fanno da cornice a uno sguardo comunque fermo e scrutatore, sapientemente indagato da un artista che conosceva bene il suo committente, e da cui era sinceramente apprezzato.

Interrogandoci sulla possibile provenienza di questo dipinto, non possiamo ignorare un appiglio offerto da un antico inventario estense. Nel Palazzo Ducale, e per la precisione nell’ultima delle “camere da parata” allestite con i dipinti più preziosi della galleria, nel 1663 furono registrati quattordici ritratti di famiglia: dieci erano “in piedi al naturale” e quattro invece “di mezza figura”, “con cornice dorata”, fra i quali proprio “il duca Cesare primo”. Che si trattasse proprio del nostro dipinto, poi disperso e oggi recuperato? Alla domanda per ora si può rispondere solo limitandoci a mantenere aperta tale possibilità. In ogni caso siamo in presenza di una felice acquisizione per il patrimonio dello Stato. Il 13 dicembre, infatti, il ritratto restaurato è stato donato al museo dall’Associazione Amici delle Gallerie Estensi, che ha così celebrato nel migliore dei modi il proprio decennale (2014-2024).

 

Federico Fischetti

Curatore delle arti figurative del XVII-XVIII secolo

Gallerie Estensi